Pubblicato il: 09-03-2000

Argomento: L'Italia condannata sull'orario di lavoro dalla Corte UE



Sull’orario di lavoro l’Italia condannata dalla Corte UE

La Corte europea di Giustizia bacchetta l’Italia per il clamoroso ritardo – sono trascorsi , ormai , sette anni – nel recepimento della direttiva sull’orario di lavoro . Un’eventuale , seconda bocciatura farà scattare le sanzioni pecuniarie previste dal trattato di Maastricht per i Paesi in cronico ritardo sulla tabella dell’Europa .

La condanna della Corte di giustizia è arrivata , puntuale , con sentenza del 9 marzo 2000 , ma il verdetto era nell’aria da tempo , vista anche l’annata non recente – il 1993 – che contrassegna la direttiva n.104 sull’orario di lavoro e le vicende , anche politiche , che hanno rallentato il recepimento della direttiva . Una condanna , dunque , alla quale l’Italia si è praticamente rassegnata , stando anche alla ricostruzione della Corte basata sull’istruttoria della’avvocato generale Francis Jacobs .

Il ricorso per inadempimento è stato avanzato dalla Commissione il 26 ottobre ’98 nei confronti dell’Italia , rea di non aver comunicato alla Commissione stessa le disposizioni adottate per il recepimento della direttiva . Il termine ultimo fissato per mettersi in riga era il 23 novembre ’96 , anche se le parti , entro quella data , avrebbero anche potuto applicare consensualmente le misure necessarie per garantire che la direttiva fosse applicata anche da noi .

L’Italia , per giunta , non ha nemmeno comunicato alla Commissione le disposizioni date per conformarsi alla direttiva . Un particolare che ha fatto scattare la procedura prevista dall’articolo 169 del Trattamento Ce . L’iter , a quel punto , ha fatto il suo corso , tenendo anche presente il fatto che le autorità italiane hanno poi stralciato dalla legge Comunitaria 95-97 ogni riferimento alla direttiva in questione .

La “distrazione” è continuata anche quando la Commissione ha avuto notizia della trasposizione di alcune parti della direttiva , ma anche in tal caso nessuna disposizione legislativa è stata poi comunicata alla Commissione stessa . La direttiva , in realtà , non è stata trasposta completamente nei termini previsti , quindi per la Corte il ricorso presentato dalla Commissione è corretto .

“Di conseguenza occorre dichiarare – precisa la Corte – che non avendo adottato nel termine descritto da disposizioni legislative regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva , la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di detta direttiva” .

A nulla è servito il richiamo della Repubblica italiana al fatto che “la legislazione nazionale è già conforme ad alcune disposizioni della direttiva , visto che l’11 novembre 1997 le parti sociali hanno siglato una dichiarazione comune relativa alla sua attuazione che trova applicazione generalizzata nel settore industriale” . Né il fatto che “la trasposizione è ora in corso di adozione” . Sarà comunque il caso di evitare una nuova condanna , ritrovandosi in buona compagnia con Grecia e Francia ( una causa a testa ) , i due Paesi in pole position per la condanna pecuniaria legata al ritardo .